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Come accade nelle fiabe che l’hanno reso famoso nel mondo, il Teatro Del Carretto lascia intercorrere, tra una creazione e l’altra lunghe pause di stasi, in cui in realtà continua a presentare il suo repertorio in lontane tournèe; ma ogni volta che si sveglia con una nuova proposta lancia un ruggito. Coni favolisti che spesso inscena ha infatti in comune un senso sviluppato della crudeltà, che rese ad esempio memorabile il suo approccio a Shakespeare nel Sogno di una notte di mezz’estate. Dopo qualche escursione classica e un lungo silenzio, ecco ora un inatteso ritorno al regno delle fiabe, con una sorta ammaliante che ispirò a Cocteau un gran film, Bella e la Bestia, vicenda ricca di allusioni che sfiorano la psicanalisi e la genetica, e rivive splendidamente, galleggiando sull’inconscio, aldilà del tempo, nell’immaginario di Maria Grazia Cipriani e Graziano Gregori, una fata umorale e un mago dell’illusione.
Si apre citando un’altra favola d’autore dove un usignolo si perde per una rosa, raccontata da una balia a una neonata in lacrime: una storia fatale per Bella, che non ha altra mamma che il suo babbo tuttofare. E subito la ritroveremo in un’età che giustifica il suo nome, senza matrigna ma con due sorelle che la deridono come fosse Cenerentola, davanti al padre in partenza il quale, come re Lear, pone le tre figlie alla prova del desiderio, non per un trono ma per il regale che si aspettano dal suo viaggio: e se alle sorelle tutte nude bastano dei vestiti, Bella nel gelo invernale chiederà quella rosa rossa sognata da piccina. Da qui la vicenda, nello scavo del Carretto, continua a infiorarsi di riferimenti e salti analogici: la traversata del padre su un febbrile cavallo meccanico è il contatto con la natura, il roseto che arde sullo sfondo della scena vuota scopre bibliche rivelazioni, la rosa da lui colta da terra è forse un pezzo di carne che sveglia il mostro come i morsi di Hansel e Gretel alla casa di marzapane facevano scattare la strega. Ma è un mostro quella figura zoppicante di cui ci sfugge il volto ma non la fulgida bellezza del corpo? E subito comunque un’alternativa al padre, da lui messo a morte se non gli cede la figlia già mitizzata, che prima di sacrificarsi come Alceste vedremo delineare dei legami di coppia con lui appena tornato, mentre le due sorelle raddoppiano le loro identità davanti a due specchi, da streghino in vesti rosse a calvi androgini che spupazzano due pretendenti. In realtà è la continua metamorfosi della creazione a snodarcisi di fronte nella morbosa cura con cui la regista muove i personaggi straniti da dolci carillon e atroci rumori tra le visioni attraenti e terribili della natura. A rappresentarla in un contorno di magiche sorprese è un bruto moltiplicato dagli specchi con una testa faunesca o liscia ma ferita, tenero quando ritrova nella poesia dell’usignolo e della rosa una canzone in comune con la ragazza, ma subito mutato da un suo rifiuto in divoratore di carni sanguinolente tra stridori di ossa. Suscita terrore e sorrisi la tipologia dell’orco e Bella, sola nella foresta e intatta nell’abito da sposa, ne rimane ostaggio: il suo masochismo la rimbalza tra il padre esanime per nostalgia e la bestia appesa a un ramo per l’abbandono, per essere però raggiunta dal bacio che scioglie l’incantesimo e, coniugando morte e amore, dà alla fanciulla un principe in un panorama domato. C’era una volta il Carretto assetato di capolavori dall’astinenza creativa, che prende un racconto elementare per restituirci un gioco metaforico sull’ambiguità della vita proiettandoci nel sogno di una scena vuota continuamente reinventata da stupefacenti sorprese caduche, animate da attori abilmente addestrati a sdoppiarsi e a giocare coi ritmi, dall’ormai esperta Elsa Bossi al mutante Pietro Conversano, a Marchello Prayer, Elena Nenè Barini, Gigliola Fuiano, Giacomo Pecchia, Giacomo Vezzani,. Ed è ancora una giostra memorabile di emozioni che ridà un senso al teatro.
ENG
A carousel of emotions: Beauty and the Beast.
The Teatro Del Carretto returns with the celebrated fairytale on the ambiguity of life.
After some classical excursions and a long silence, here is an unexpected return to the kingdom of fables, with the enchanting story that inspired Cocteau to make a great film: Beauty and the Beast. This is a tale rich with allusions that range from psychoanalysis to genetics. It is brought splendidly to life, floating on the subconscious in a space beyond time, through the imagination of Maria Grazia Cipriani and Graziano Gregori – a humoral fairy and a wizard of illusion, respectively.
The story opens by making reference to another fairytale in which a nightingale loses itself for a rose, told by a wet-nurse to a baby in tears: a fatal story for Belle, who has no mother to look after her, only her jack-of-all-trades father. We soon find her at an age that justifies her name, without a stepmother but with two sisters who mock her as though she were Cinderella, in front of their father. The latter, in turn, is about to leave and, like King Lear, puts his three daughters to the test. Not for the sake of a throne, but for the gifts that they hope to receive from his trip: while the naked sisters would be happy with clothes, Belle, in the freezing winter cold, requests the pink rose that she dreamt of as a small child.
From here on, the story, in the hands of the Teatro del Carretto, continues to unfold and as it does it is enriched with references and analogies: the father’s journey on a febrile mechanical horse becomes man’s contact with nature; the rose bush that stands in the background of the empty scene reveals Biblical connotations; the rose grown there is perhaps the piece of meat that awakens the monster just as Hansel and Gretel’s mouthfuls of sweets at the marzipan house alert the witch. But is it really a monster, that limping figure whose face escapes us, but not the radiant beauty of his body? Whatever he is, he instantly takes the place of the father, whom he threatens to kill unless Belle (already mythicised) will take his place. Before sacrificing herself like Alcestis, however, we see Belle delineate the bonds of a relationship with the recently-returned Beast. Meanwhile, the two sisters double their identities in front of two mirrors, going from red-robed witches to bald androgynous figures, who flirt with two suitors.
In effect, it is the continual metamorphosis of creation that unfolds in front of us, in the tender care with which the director moves characters who are befuddled by sweet music boxes and atrocious sounds, torn between visions of nature that are both attractive and terrible. At the heart of these magical surprises is the Beast: multiplied by mirrors, with a faun’s head or smooth, but injured, appearance. He is tender when he can share with Belle the poetry of the nightingale or the rose, but is instantly transformed by her momentary rejection into a devourer of bloody meat amid the screeching of bones. The personality of the monster evokes both terror and smiles, while Belle, alone in the forest in her wedding dress, becomes his hostage.
Her masochism bounces her back and forth between a father that is beside himself with nostalgia and the Beast, who hangs himself from a branch through the desperation of abandonment. He finally receives the kiss that breaks the spell and which, coupling death with love, gives the girl her prince in a subdued panoramic setting.
This is also the story of the Teatro Del Carretto, who, starved for masterpieces by a creative abstinence, have taken an elementary tale in order to present us with a metaphorical play on the ambiguity of life, projecting us into the dream of an empty scene that is continually reinvented. It is animated by stupefying and ephemeral surprises and by actors who are ably trained in doubling up on roles and playing with rhythm: the by-now expert Elsa Bossi, the self-transforming Pietro Conversano, together with Marcello Prayer, Elena Nené Barini, Gigliola Fuiano, Giacomo Pecchia and Giacomo Vezzani. All in all, a memorable carousel of emotions that gives real meaning back to the theatre.