L’ultima notte di Giovanna d’Arco prima della morte sul rogo. Su questo solenne
quanto tragico momento si sofferma l’indagine teatrale, mistica e psicologica di
Maria Grazia Cipriani, che nell’applaudito spettacolo Giovanna al rogo, fa luce su
una figura entrata nella leggenda, ma che è stata strumento del potere.
Arrestata e condannata con l’accusa di eresia per delegittimare l’ascesa al trono di
Francia di Carlo VII, Giovanna finisce i suoi giorni sul rogo, vittima di un gioco
politico più grande di lei, sorretta però da un’incrollabile quanto commovente fede
cattolica.
Lo spettacolo si svolge interamente nella cella dove Giovanna è reclusa, guardata a
vista da tre sgherri rozzi e violenti … In quella cella oscura, rivive ossessivamente
la fasi del processo, fatto di interrogatori e torture. L’inquisizione – la voce fuori
campo di Dario Cantarelli – fa sentire il suo potere con solennità e calma violenza,
pronunciando condanne senza scomporsi.
…L’impostazione registica si concentra sull’aspetto mistico e religioso della
vicenda di Giovanna d’Arco, a voler sottolineare la sua ingenuità ed estraneità al
potere, ma qua e là …. si fa luce sull’umanità della protagonista , che è ancora
un’adolescente…. In attesa di morire, Giovanna rivive la sua esaltazione mistica, in
un’atmosfera quasi barocca accompagnata da canti sacri e suono di campane, che
ricorda le estasi dei santi del Bernini.
Non mancano comunque, sfumati richiami alla realtà dei nostri giorni. Giovanna è
prigioniera di guerra, e lo spettacolo offre un breve spunto di riflessione sul dramma
delle torture, ancora oggi praticate nelle carceri militari. Nella scena del waterboarding
ci sembra di rivedere immagini provenienti da Guantanamo o Abu Ghraib.
E tante sono le eroine femminili, soprattutto nel mondo arabo, usate per propaganda
e poi lasciate morire con l’accusa di blasfemia.
Particolarmente toccante il momento in cui l’eroina è sottoposta all’esame della
verginità, ricostruita dalla regista come fosse una deposizione di Cristo; pur nella
delicatezza dell’esame, condotto da suore, si tratta di una profonda violenza
psicologica … Di grande impatto anche la ricostruzione della morte sul rogo, che
non vediamo sul palco … ma descrive minutamente le fasi del rogo e l’umiliazione
alla quale è sottoposto il cadavere nudo della ragazza.
Elsa Bossi ci offre una Giovanna d’Arco androgina, fisica ed eterea insieme,
sospesa fra l’estasi delle visioni mistiche e l’atroce dolore inflittole dalle torture.
L’intensità dell’interpretazione coinvolge tutto il corpo, fino a creare una tensione
muscolare che richiama alla memoria la stessa tensione michelangiolesca. Nicolò
Belliti, Andrea Jonathan Bertolai, e Giacomo Vezzani, sono i tre sgherri che
recitano in gran parte in inglese sporco, popolare, affiancato alla fisicità con la
quale si muovono sul palco, espressione di bestialità, crudezza, forse anche
angoscia. L’incomprensione dell’altro resta il punto focale del rapporto fra loro e la
prigioniera.
Il palco è ricoperto di materiale scuro, a imitazione della cenere che sarà sparsa sul
rogo imminente, così come le assi che costituiscono le pareti della cella sono
dipinte in modo da simulare le fiamme che avvolgeranno Giovanna. Un rogo che
non vediamo sul palco, ma che ci è comunque richiamato alla mente attraverso
un’affascinante quanto disturbante scenografia, che il chiaroscuro della debole
illuminazione contribuisce a mettere in risalto.
La canzone di Leonard Cohen che fa da colonna sonora a una visione che Giovanna
ha di San Michele Arcangelo, così come il brano Lilì Marlene, costituisce un
momento di magia temporale, di fantasia teatrale, perché il teatro, anche nei suoi
momento più drammatici, resta comunque un meraviglioso gioco. Alla chiusura del
sipario, meritati applausi ad una pièce che sa unire teatro civile, leggenda e poesia.