ETERNAL LIFE. LA RISCOPERTA DI WILLIAM BLAKE
Desta senza alcun dubbio sorpresa, e anche una certa fierezza, notare come a guidare il rinato interesse internazionale per l’opera di William Blake ci siano artisti e intellettuali italiani.
Dopo l’evento Blake in Rome del 2016 l’associazione Inner Peace in occasione dell’anniversario della scomparsa del poeta, ha organizzato il 28 Novembre scorso una giornata dedicata alla meditazione sull’opera del poeta che ha coinvolto più di 18.000 studenti in tutti i quartieri di Londra.
Un progetto dedicato in Inghilterra a un gigante della letteratura inglese, eppure nato a Roma da organizzatori italiani. Dal punto di vista squisitamente artistico, accanto alla stupenda opera di reinterpretazione dei versi blakeani da parte di Victor Vertunni, un alto grande omaggio italiano al poeta è il progetto Blake Eternal Life.
Un progetto musicale di rilettura antologica dell’opera del grande genio profetico ad opera del duo Pappacena/Vezzani, il connubio di due musicisti poliedrici, dalle qualità complementari: Fabio Pappacena, attore, bassista e chitarrista, dalla vasta esperienza teatrale e anche televisiva; Giacomo Vezzani, compositore e attore della compagnia Teatro Del Carretto, autore, tra l’altro, della colonna sonora di Invisible Boy di Salvatores.
Con le voci di Elsa Bossi e Elena Nenè Berini, i due musicisti hanno messo in piedi uno spettacolo/concerto suggestivo, coerente, entusiasmante, di grande fedeltà filologica(anche nella pronuncia) rispetto all’opera di Blake, prendendosi per altri versi una disinvolta libertà negli arrangiamenti e nella interpretazione melodica.
A differenza, infatti, di Victor Vertunni, che incarna perfettamente l’archetipo del troubadour rispettando la struttura da ballata popolare delle Songs blakeane, il duo osa soluzioni inattese, innesta i versi ardenti di profezia su ritmi quasi funky, interrotti improvvisamente da grandi aperture melodiche, in un complesso gioco compositivo che ricorda alcune suite progressive dei primi Genesis (la più complessa delle quali, Supper’s Ready, non a caso era proprio ispirata a William Blake).
Abbiamo incontrato i due autori che ci hanno spiegato l’ispirazione del progetto.
Com’è nata l’idea di recuperare l’opera del grande poeta inglese?
Vezzani: Mi trovavo a Philadelphia e ho avuto l’occasione di esplorare una delle biblioteche più antiche degli Stati Uniti, lì ho trovato delle tavole originali sull’inferno di William Blake. L’idea nasce dal fatto che dopo essermi occupato di un radiodramma incentrato sul“poeta del suono” Pascoli, volevo dare un seguito a questa ricerca e costruire una sorta di dittico, affrontando il poeta della visione: William Blake. Radio Rai Tre me ne aveva chiesto nel frattempo un altro con la solita formula, la vita del poeta e le poesie messe in musica. Non volevo farlo da solo e ho chiesto a Fabio una collaborazione, che si è subito dimostrata importante, non solo per lo scambio d’idee, ma per mescolare due approcci musicali differenti e cercare il vero suono, che secondo noi poteva raccontare il poeta. Il problema su come raccontare Blake sorse subito; mentre la vita di Pascoli è costellata da avvenimenti tragici e di spostamenti, alla ricerca del nido che non troverà mai, William Blake sembra invece condurre una vita piuttosto statica. Abbiamo allora capito che il suo viaggio è l’immaginazione, la visione che lo accompagna come allucinazione, senza mai spostarsi dai suoi tre cottage. Avendo immaginato Pascoli come puro suono, il radiodramma si dimostrò subito la forma migliore per rappresentarlo. Per Blake non sapevo bene come lavorare su immagine e suono; addirittura avevo pensato ad un enorme videoclip. Fu Fabio a pensare d’introdurmi ad due artisti visivi, Silvio Giordano e Gianluca Lagrotta, per costruire delle immagini più moderne ed insieme poi pensammo alle traduzioni simultanee delle poesie mentre suonavamo, per rendere vivo e presente il vero protagonista dello spettacolo: William Blake.
Su quali basi avete ricostruito melodie e arrangiamenti? Vi siete affidati all’ispirazione o alla ricerca filologica?
Pappacena: C’è stata una prima fase in cui ognuno di noi, separatamente, ha approfondito lo studio delle opere. Volevamo che il confronto tra di noi, nella fase successiva, fosse autentico e non condizionato dall’idea che Giacomo in particolare aveva già su come sviluppare il lavoro. L’enorme complessità del mondo immaginifico di Blake ha certamente fatto sì che, almeno inizialmente, la nostra ricerca fosse indirizzata alla comprensione della mitologia da lui creata, dei numerosi riferimenti biblici e di altri autori, da Dante a Milton. È uno studio che, in realtà, dopo circa tre anni da quando siamo partiti e dopo un disco, un radiodramma e uno spettacolo prodotti, possiamo dire che non è ancora finito e certamente continuerà. Nella fase successiva abbiamo lasciato che la straordinaria carica simbolica e la potenza evocatrice delle poesie ci attraversasse per lasciare spazio all’ispirazione più pura. Più che le singole espressioni letterarie sono state le immagini da esse create, i concetti espressi, a suggerire le atmosfere e gli ambienti musicali che hanno dato vita alle nostre canzoni. Così è stato anche per le immagini: abbiamo chiesto a Silvio Giordano (autore dei visual) e Gianluca Lagrotta (creatore del logo Tigre&Agnello) di abbandonarsi alla suggestione. L’unione delle nostre due sensibilità musicali, più elettronica quella di Giacomo e più rock e acustica la mia, così diverse ma così complementari, hanno fatto il resto. Ma la cosa più interessante che abbiamo rilevato è che ogniqualvolta si cercava di indirizzare il lavoro attraverso una strategia razionale, attraverso soluzioni pensate e costruite, le cose non funzionavano; è come selo spettacolo si volesse costruire da solo e la nostra sensibilità fosse solo il tramite, lo strumento. Come dire: è sempre il cuore che conta.
Centrale nella vostra interpretazione è la visione gnostica della conconcordia oppositorum che nei Canti dell’Innocenza e dell’Esperienza è rappresentata potentemente dalla contrapposizione simbolica tra Agnello e Tigre. Il simbolo finale dello spettacolo è il citato logo che li raffigura proprio come un symbolon, sbaglio?
Vezzani: Sì, è stato importante cercare una sintesi di linguaggio su un corpo poetico così vasto e complesso. Ricordo di aver studiato profondamente tutta la mitologia di Blake e ad un certo punto, con l’arrivo di Fabio, ci siamo anche persi. Per fare un esempio: i quattro Zoa, quattro figure che insieme costituiscono un essere umano – il grande Albione – sono anche il simbolo delle varie nature dell’uomo e che possono anche rappresentare i quattro elementi (acqua, terra, fuoco, aria). Ad un certo punto subiscono delle evoluzioni e non sono più quelle figure, ma si trasformano: Luvah, che è la compassione, Cristo, si trasforma nella sua forma più ribelle, Orc (che non è altro che la La tigre). Il libro di Urizen, I quattro zoa, sono dei libri molto affascinanti ed anche lì tornavano spesso la figura dell’agnello e del leone. Nei Canti d’Innocenza ed Esperienza c’è una sintesi perfetta di ciò che è passivo e attivo, bene e male, energia e meditazione, e come questo dualismo debba convivere nell’uomo per trovare il giusto equilibrio per attraversare il passaggio terreno, verso una dimensione di conoscenza. Vede, in realtà per affrontare l’argomento non basterebbe nemmeno un’intervista di un giorno, perché la stessa mitologia di Blake è spesso contraddittoria, nel senso che spesso Blake stesso pensando di essere un tramite tra due dimensioni, una reale ed una astratta, non dava così importanza alle cose così come sembrano. Il simbolo/logo dell’Agnello e la Tigre sono in qualche modo una semplificazione, una sintesi, per cercare di dare un punto di partenza a tutto il mondo immaginario di William Blake.
Qual è l’urgenza di riscoprire Blake oggi?
Pappacena: Non ringrazierò mai abbastanza Giacomo per aver voluto condividere con me il viaggio nell’opera di William Blake. È stato un dono, anzi due: la riscoperta di un autore che è molto più di un poeta, uno scrittore, un incisore – credo non a caso più di qualcuno lo ha definito un profeta; e poi la possibilità di creare un sodalizio artistico e umano tra i più importanti della mia carriera artistica. C’è stata un’intenzione molto chiara in noi sin dall’inizio: non volevamo “tradurre” l’opera di Blake in una sorta di trattato musicale raccontando la sua storia. Credo, tra l’altro, sia quasi impossibile farlo. Non c’è una vera e propria storia da raccontare. C’è piuttosto, da parte del poeta inglese, l’indagine dell’uomo e della sua profonda complessità. Volevamo quindi vedere l’effetto della sua filosofia su due uomini del duemila. Per quanto mi riguarda l’effetto è stato deflagrante, oserei dire illuminante. Questa è la nostra urgenza; e con quella sana dose di presunzione di chi sceglie di esporre ad un pubblico il proprio sentire, crediamo che questa urgenza vada condivisa. Nella società della superficie, dell’apparenza, delle illusioni, William Blake ci parla di profondità, di prospettive, di essenza. Siamo convinti che questo riguardi tutti. L’espressione Eternal Life nel titolo dello spettacolo non si riferisce ad un’ipotetica vita nell’aldilà, ma alle infinite possibilità in questa esistenza terrena.
Ci sono artisti contemporanei in cui ritrovate la sua eredità?
Vezzani: È molto difficile rispondere a questa domanda perché il lavoro di Blake è talmente complesso e profondo che secondo me ha spaventato un po’ tutti. Non è pure collocabile tra i Filosofi e tra i pittori; era forse un semplice incisore, ma sappiamo che era anche poeta e molte di queste canzoni le cantava lui stesso, è morto cantandole. Blake aveva anche un atteggiamento un po’naif e ambiguo, ma sapeva andare alla profondità delle cose. William Wordsworth diceva: “Non c’è dubbio che questo poveraccio fosse pazzo, ma c’è qualcosa nella sua pazzia che attira il mio interesse più dell’equilibrio di Lord Byron o Walter Scott”. Dai pittori è sempre stato visto più come un illustratore in principio, eppure ha sviluppato una tecnica unica, inventandosi anche una particolare tecnica d’incisione. William Blake è stato rivalutato molto tempo dopo la sua morte. Nella musica, nel cinema nelle arti figurative è sempre stato “affrontato” in forma di citazione, di frammento. Mi viene in mente più Prince pensando a lui, più che agli U2 che molte volte lo hanno sfiorato in alcuni tenui omaggi. Prince è stato figura scomoda e geniale, dove la trascendenza si mescola a questa fascinazione per il mondo del sesso. Ci sono dei testi di alcune canzoni bellissime, altri banali, ma accompagnate da musiche strabilianti. Prince ad un certo punto, credendo di essere uno schiavo in mano alle case discografiche, ha distrutto completamente anche la sua immagine.
Prince è molto di più di quello che il mainstream immagini, è autarchico, e sinceramente diretto, ma poi con il suo glamour, nel quale lui stesso si è perso, è giunto al pubblico in parte come un artista banale e commerciale. Secondo me, come Blake, verrà rivalutato tantissimo.
Qual è stata la reazione del pubblico e della critica a uno spettacolo dall’impianto così particolare?
Pappacena: Sono uscite diverse recensioni su questo spettacolo, diverse persone ci hanno scritto spontaneamente dandoci le loro impressioni e abbiamo avuto tanti confronti a viso aperto con chi è venuto a vederci. Quello che più ci gratifica è che lo spettatore si sente avvolto, accolto e trasportato dalle nostre creazioni. Vive il tempo dello spettacolo come un tempo per sentire, non per pensare. Il momento della riflessione viene dopo, unito alla voglia di riscoprire un autore tutto da esplorare.
Quali sono i nuovi progetti in cantiere?
Vezzani: Stiamo lavorando, in collaborazione col Teatro del Carretto di Lucca, ad una messinscena della Tempesta di Shakespeare. Vorremmo partire da una raccolta di canzoni per poi affrontare il teatro, così come per Blake: siamo partiti da un album, per giungere ad un radiodramma, per poi finire con lo spettacolo/concerto.
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