LUCCA – Le Mura di Lucca sono di per sé uno spazio di frontiera. Si presentano come l’orlo tangibile tra il “dentro” e il “fuori” di una cultura, quella della lucchesità, che è vasta e universalmente forte della storia dei suoi talenti creativi, eppure si lascia percepire come ristretta e provinciale. Un mistero, in parte. Non le manca niente e si sente povera di tutto. La frontiera, che è terra di conquiste, in questo caso ci accompagna incontro ad una che si presenta come particolarmente significativa: la consapevolezza di essere, Lucca, genitrice di un’ intensità di presenza e di aver contribuito ( contribuendo) alla storia recente del teatro europeo.
Sul baluardo San Martino, nella casermetta San Martino, quella sopra piazza Santa Maria, si dà traccia di questo contributo, che è racconto lungo già oltre trent’anni. Traccia di grandezza, di estro fantastico, di assalto alla storia presente da parte di una Compagnia, quella del “Teatro Del Carretto”, che è ancora fra le protagoniste del teatro di ricerca italiano.
“Le Stanze del Sogno” si presentano come un “museo”, eppure non hanno niente a che vedere con ciò che il museo comunemente rappresenta nel nostro immaginario. Niente di definitivo e immobile. Sono un punto e virgola. Il punto era necessario e anche la virgola. La Compagnia del Carretto continua la sua attività di produzione come teatro di innovazione, che in questi anni, attraverso la scelta di opere dall’alta concentrazione archetipica (dal repertorio delle fiabe come Biancaneve e Pinocchio; all’ epica classica di Iliade e Odissea; a Shakespeare, con Romeo e Giulietta, Il Sogno di una Notte di Mezza Estate, Amleto) ha liberato le emozioni dalle loro gabbie, di cui ognuno di noi è prigioniero con in mano le chiavi. Mentre scriviamo, la Compagnia è in viaggio verso il Teatro Stabile di Potenza per portare in scena “Le Mille e una notte”, ultima produzione in ordine di tempo.
Il teatro di Maria Grazia Cipriani e Graziano Gregori, origini di questa enorme risorsa culturale della città, impiega gli stessi archetipi e simboli alla maniera di “scarnificatori” di materia emotiva. Si supera la persona, la figura; si passa oltre il limite fisico – con lo strumento quasi magico della maschera e della marionetta – si approda all’ illimite del mondo interiore, onirico e psichico. Il suono, poi – essenza della parola, anche senza parola – offre un dizionario che non necessita traduzioni, motore fondamentale del teatro carrettiano (per anni plasmato dal ronconiano Hubert Westkemper affiancato nel tempo dal lucchese Luca Contini).
Ne “Le Stanze del Sogno” – aperta tutti i giorni, dalle 10 alle 18, lunedì escluso – ci sono in mostra alcuni di questi simboli, e il fluido che ne crea il processo di animazione.
Maria Grazia Cipriani ( regista della Compagnia) e Graziano Gregori (scenografo della Compagnia e curatore della mostra), sono un po’ come la Titania e Oberon de “Il Sogno” shakesperiano, e si capisce visitando il luogo che raccoglie un po’ del loro spirito. Come i due personaggi della rinomata drammaturgia, dalla quale non casualmente deriva il nome della mostra, sono sovrani notturni di fate e folletti – immaginazioni, fantasie e incubi che vivono nel loro teatro – che, pur non evitando le battaglie delle quotidiane umane convivenze, dalla banalità della reale riescono ad evocare le immagini, le sensazioni, gli impulsi più nascosti della simbiosi tra terreno e divino: l’unione degli opposti inconciliabili. E come è giusto che sia per ogni artefice, anche la dialettica tra Cipriani e Gregori ad un certo punto diventa invisibile, e ciò che rimane è la traccia di quanto è accaduto, storie e creature di chi fa suo un racconto che oltre al desiderabile appartiene a tutti, ma spesso appare per molti così scabroso da risultare impronunciabile, inaccettabile, irripetibile.
“Le Stanze del Sogno” parlano in luogo nostro; sono i “pochi” che prendono per mano i “molti”; i segreti inconfessabili; le guerre perse; i tesori nascosti; gli amori irraggiungibili. Un percorso breve eppure un viaggio lunghissimo. Visitarle significa mentalmente scrivere appunti in silenzio, promettersi di vedere e sentire il teatro in teatro, e cacciare via l’idea che quei meravigliosi costumi nati consunti siano appesi lì per sempre. Questo luogo non è il luogo del “per sempre” – quelli sono i musei – questo è il luogo del “per noi, qui, ora”.
Colpisce infine – ma è a prima cosa – la natura di labirinto costruito in legno con l’odore della pittura ancora pungente; un itinerario così “altro” nello spazio angusto di una casermetta, per come conosciamo le casermette sui baluardi delle Mura, non te lo immagini. E poi il resto che abbiamo tratteggiato, che ti lascia desueta. In una domenica in cui passeggiare sulle Mura è vita consueta e privilegio di tempo. Il resto è bellezza.